Con la cultura non si mangia

poltrone teatroQuesta frase fu attribuita alcuni anni fa ad un noto ministro dell’economia del governo italiano che, peraltro, ha provato a smentirla ma sappiamo che la rete tramanda di tutto, cose positive e molte negative, quantomeno tanta paccottiglia. Comunque più che l’autenticità dell’attribuzione, questa frase è un utile spunto per parlare della cultura e di come sia trascurata, specie in periodi non floridi dal punto di vista economico. Anche se è vero che la superficialità con la quale è trattata questa importante materia essenziale per il genere umano, è un dato quasi costante, infatti, è stata misconosciuta anche in periodi economicamente vantaggiosi.

Questo nonostante l’Italia abbia in assoluto il più grande patrimonio culturale del mondo, è sufficiente fare un veloce giro in internet per costatare che i numeri sono impressionanti: oltre 4.000 musei, 6.000 aree archeologiche, 85.000 chiese soggette a tutela e 40.000 dimore storiche censite, oltre al patrimonio a cielo aperto costituito da grande parte del nostro territorio. Sovente sembra che non si abbia la consapevolezza di quanto “possediamo” e dell’importanza di tutelarlo, preservarlo con grande cura, e di renderlo sempre più conosciuto e fruibile.

Tutto questo ha anche un grande valore economico legato al turismo che in Italia è prodotto soprattutto da questo prezioso bene. Ciò vale per le grandi città d’arte e anche per centri anagraficamente minori ma che ospitano unicità meravigliose che da sole valgono un viaggio come La Madonna del parto, di Piero Della Francesca a Monterchi (AR). Certo, questa è un’eccellenza assoluta, ma disseminate in tutta Italia ci sono cose incredibili. Anche, paesi, borghi, cittadine che sono di per sé preziosi luoghi di bellezza e benessere. Certo molti andrebbero recuperati, valorizzati di più e inseriti in progetti di sviluppo turistico, possedendo attrattive architettoniche e storiche di indubbio interesse.

Anche nella nostra zona dell’Amiata, complessivamente intesa, siamo immersi in un luogo che trasmette suggestioni ed offre uno spessore storico artistico di buon rilievo. Sappiamo quali sono i problemi che contribuiscono a non avere uno sviluppo migliore; partendo da quelli economici spesso ci siamo mostrati troppo superficiali, distratti, ovvero non determinati nel voler fare e chiedere di più. Inoltre non sono state sfruttate appieno le capacità sia personali sia di aziende, che pur esistono, legate alla cultura, alla sua produzione e diffusione, soggetti tenuti colpevolmente ai margini da un ceto politico/amministrativo quantomeno distratto.

C’è da ricordare che forse l’esperienza dell’APT (Azienda di Promozione Turistica) amiatina fu liquidata qualche anno fa con eccessiva fretta e senza alcuna alternativa. Oggi ogni comune prova a fare un poco di animazione per destare l’attenzione verso i propri luoghi ma i risultati sono assai modesti. È importante che ci provino, ma bisogna fare di più sia singolarmente, sia collettivamente in maniera associata.

Ad esempio, a Santa Fiora è iniziato il recupero di un importante pezzo del patrimonio edilizio: il palazzo Sforza Cesarini, per realizzare il “Museo della Contea” che illustrerà il passato di questo paese. Questa è un’ottima iniziativa che va esattamente verso lo sviluppo della cultura e dell’economia locale. Ci sembrano soldi assolutamente ben spesi, anche se occorrerà lavorare per la caratterizzazione e la diffusione della conoscenza di questo nuovo polo museale.

Inoltre, si evidenzia ancora di più l’importanza del coinvolgimento, ossia della connessione con le Università per la ricerca delle possibilità di sviluppo del territorio.

Questa realizzazione, ripeto, è importante ma accanto a questa vi sono carenze anche inspiegabili, di preoccupante sottovalutazione. L’esempio più vistoso è, sempre a Santa Fiora, la lunga inutilizzazione del teatro Andrea Camilleri, realizzato da pochi anni con un costo complessivo molto, molto alto. Avere una struttura tecnologicamente appropriata e non utilizzarla è veramente un grande spreco e soprattutto, una privazione di cultura nei confronti dei cittadini.

I comuni della zona si sono organizzati, sin dalla fine della pandemia Covid, con la ripresa di stagioni teatrali assolutamente proporzionate alle esigenze del pubblico e delle risorse disponibili. Vale per questo citare gli esempi di Castel del Piano insieme ad Arcidosso, di Abbadia San Salvatore con Piancastagnaio, di Pitigliano. Tutti fanno parte della Fondazione Toscana Spettacolo (https://www.toscanaspettacolo.it/) che riesce a mettere insieme spettacoli di sicuro valore, con costi contenuti ed accessibili anche ai piccoli teatri elencati.

Non ho mai capito perché a Santa Fiora questo non sia mai stato fatto, anche se presumo che una ragione dovrà pur esserci. Così come il costo della gestione della struttura, che in questo caso pare ammonti a cifre inaffrontabili per ogni singolo spettacolo che nella stessa viene svolto. Eppure negli altri teatri vigono esattamente gli stessi obblighi di sicurezza e quanto altro necessario, hanno mai provato a chiedere come si comportano costoro?

Il teatro è una forma d’arte importante, specialmente in un’area vasta come l’Amiata dove vi è un solo cinema e le poche evidenze culturali si verificano in un breve periodo estivo; poter andare a teatro significa anche portar fuori di casa un po’ di gente, diversificare un’offerta che contempla solo il divano davanti alla televisione casalinga. Inoltre, questo rientra a mio parere tra i servizi necessari da offrire alla collettività, al pari di altri perché anche attraverso queste cose si misura la civiltà di un territorio, contribuendo anche alla limitazione del continuo stillicidio anagrafico, dovuto anche alla desertificazione culturale. Sì, perché ritengo fortemente che il rischio, appunto, di desertificazione passi anche attraverso questa privazione, infatti sono assolutamente convinto che con la cultura ci si mangia, a differenza di quanto avrebbe detto il famoso ministro, rappresentando un introito economico ed un nutrimento dello spirito indispensabile, anzi irrinunciabile.

Sergio Bovicelli

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