Conversazioni alcoliche

“Preso! Trovami qualcosa dove metterlo, dai! Veloce…mi scappa!” gli gridai. In mezzo a una radura sulla vetta pianeggiante del monte, io e Batù alla fine eravamo riusciti a prenderlo. Partiti da più di due lune dal villaggio, nessuno ci aveva incoraggiato a farlo; nemmeno il vecchio Sanie, che amava da giovane scomparire per lunghi periodi dentro la foresta.

Il villaggio si era fermato, aveva trattenuto il respiro quando dal cielo, in una notte stellata e serena, apparve in mezzo alle capanne. Tiepida era l’aria, portando in sé gli effluvi dei fiori e delle erbe scaldati dal sole del giorno. Le madri sedute in cerchio parlavano al centro della piazza; gli uomini si raccontavano storie di caccia seduti vicino al recinto dei cavalli. I bimbi dormivano dentro le capanne sui giacigli di stuoia e paglia. Scese silenziosa dall’alto dei monti, in una nube di luce azzurrina e si posò tra i due gruppi attoniti e muti, come gli astri di quel nero infinito, trapunto da miriadi di luci sopra di loro. Tutto fu immobile, tutto tacque. Ma io e Batù, troppo curiosi, ci staccammo dal gruppo degli adulti e ci avvicinammo a lei. Era bella più di qualsiasi donna che noi avessimo mai visto; i suoi occhi neri scintillavano sul viso pallido e ovale; labbra carnose e turgide sembravano voler baciare il mondo. Era bella più di un sogno, bella più della ninfa della foresta. Troppo bella per far nascere desiderio nella mente di un uomo. Ci girammo a guardare gli altri, ma dovemmo subito rivolgere lo sguardo verso di lei, perché ciò che vedemmo furono corpi immobili trasformati in statue di legno, occhi spalancati e bocche aperte a dismisura, come se una paralisi di tutte le funzioni motorie del volto avesse congelato gli abitanti del villaggio in un’unica ebete espressione: ci nauseò quella vista, cogliendoci impreparati, era insostenibile la visione di visi familiari trasformati in maschere fisse, in un atteggiamento nientificante sentimenti ed emozioni. Non era quello il momento dell’estraniamento dal mondo, anzi era ora che avrebbero dovuto muoversi, alzarsi ed avvicinarsi. Ma lei veloce si spostò di capanna in capanna, e poi all’improvviso scomparve. Io e Batù non facemmo in tempo a capire cosa stesse facendo che già era sparita nel nulla; così come era apparsa, all’improvviso. Nessun bimbo fu ritrovato dalle mamme, tutti li aveva portati via. Come pazze, le mogli, chiedevano ai mariti di ritrovare i figli, e tutto il villaggio era in preda all’incertezza e allo smarrimento; così Calemme, capo dei cacciatori propose di chiamare Alme, il solitario sciamano della selva. Alme si era ritirato in solitudine quando ancora non aveva trent’anni, dopo la malattia che decimò il villaggio; sconfitto dall’impotenza di fronte a quel morbo feroce che uccise gran parte dei suoi compagni. Si riunirono alla sera per decidere; alla fine Sanie, il più vecchio, ma con lo spirito ancora di un fanciullo, si alzò e disse: “Alme… non possiamo fare altrimenti che rivolgerci a lui. Non c’è nessun’altra possibilità. Occorrono due giovani che vadano a cercarlo. Te – e mi indicò con mano ferma – e Batù, siete amici abbastanza per sostenervi a vicenda: andrete voi.“ Nessuno osò contraddirlo. Partimmo il mattino dopo. Non so come, ma fu facile trovarlo. Ci aspettava ai margini della foresta già da due giorni; si era mosso dal suo rifugio prima ancora dell’apparizione. Ci disse che lo avevano avvisato in anticipo gli alberi e gli animali; non dovevamo stupirci perché così accadeva tutte le volte che lei appariva. Chiedemmo chi fosse mai quella donna, per portar via dai villaggi i figli alle madri; com’era possibile che gli spiriti del cielo glielo consentissero; noi sacrificavamo e cantavamo sempre per loro. Lo facevamo al termine delle battute di caccia, dopo i matrimoni, quando qualcuno nasceva o moriva…sempre. Perché proprio a noi? Che senso aveva? Forse si divertivano a vederci soffrire? “Quella donna – ci spiegò – è la “correttrice”, è colei che sana i loro errori; lei sistema ciò che è andato fuori posto, ciò che è uscito dalla loro volontà per eccesso di desiderio. Anche gli spiriti hanno desideri, proprio come noi; anche loro a volte perdono di vista il progetto, il grande disegno originario.” Si era messo a sedere su un masso dopo averci invitato a sostare un po’ con lui, perché tanto non c’era più fretta…tutto era accaduto e non restava altro che attendere. Lui era piccolo, esile e magrissimo, un grande cespuglio di capelli grigi gli copriva la testa, ed una barba lunga, stopposa e ruvida, gli scendeva dal volto segnato da profonde rughe. Sembrava un alberello cresciuto di stenti, a fatica sorto dal suolo. Noi lo guardavamo e lo ascoltavamo, dimentichi di quanto avvenuto. La sua presenza ci aveva calmato, ci aveva pulito la mente dall’angoscia. Gli chiedemmo se c’era comunque, nonostante tutto, una speranza di riavere i nostri piccoli. Batù lo guardò serio e quasi sottovoce come se avesse paura a parlare gli sussurò: “Dicci quello che fare e noi lo faremo. Parla, ti prego.” “C’è in cima al monte un tronco vuoto pieno di ragni sacri agli spiriti; andate là e catturate il più grosso, verde e luminescente come una lucciola di giugno. Se lo farete loro vi riporteranno i vostri cuccioli d’uomo.” “Cosa ne faremo del ragno? Perché catturarlo? Cosa significa questo?” chiesi. “Come il ragno tesse la tela così il grande spirito, il supremo spirito che veglia su tutto ed anche sugli altri spiriti, tesse la sua. In essa avvolge le nostre vite. Noi non la vediamo ma tutto ciò che ci circonda è fatto con i suoi fili; questi vibrano, gli parlano e gli raccontano ciò che noi siamo. Tutto è fatto di loro: sono le sue braccia, i suoi occhi, i suoi orecchi, e noi ne siamo avvolti. Gli altri spiriti controllano che mai si rompa, che mai ceda questa enorme ragnatela…controllano e basta. Capita però che in certi momenti l’uomo arrivi vicino a capire, quasi tocchi la verità. Allora loro fanno qualcosa che lui gli ordina. Tra quei bimbi c’erano menti troppo acute, se fossero cresciuti avrebbero incitato alla rivolta il villaggio, lo avrebbero reso incontrollabile. E il controllo è l’anima dello spettacolo che il supremo vuole godersi. E’ ciò che fa muovere le marionette delle tribù.” “Che vuol dire avrebbero incitato alla rivolta?” gli chiesi. “Vuol dire che tra quei piccoli alcuni sarebbero divenuti dei santi, uomini in grado di sopportare i giorni da vivere senza opporsi ad essi, senza reagire. Mantenendo un cuore puro, incapaci di recitare la parte scritta per loro, avrebbero dato esempio di repulsione per odio e falsità. E questo avrebbe reso lo spettacolo meno vario, monotono. La ragnatela non avrebbe più avuto senso e questo lo spirito supremo non può permetterlo: lui e quella sono la stessa cosa.” “Ma dimmi – gli dissi – che senso ha prendere il ragno? Perché la sua cattura dovrebbe provocare la sua resa, il suo piegarsi alla nostra sofferenza? Deve esserci un significato importante nascosto in quella bestia. Parlacene, noi dobbiamo catturarla, siamo coinvolti troppo; siamo gli unici ad esserlo in prima persona e con le tue parole ci hai fatto intravedere anche l’ombra di un grande pericolo. Ci è dovuta una spiegazione. Quel ragno si difenderà, vero?” “Capirete quando lo avrete preso. Ora andate” rispose, poi gli spiegò la strada che dovevano fare. Dopo restò in silenzio abbassando la testa sul petto e addormentandosi. Dopo giorni e giorni arrivammo in cima alla montagna indicataci da Alme: un piccolo altipiano circondato da pini e querce si stendeva sulla sua sommità; era sera, ci costruimmo una capanna di rami e foglie e dopo accendemmo un fuoco per la notte. La notte passò serena, senza paure o dubbi; i sogni durarono per intero senza interruzioni; eravamo diversi. “Batù, mi sento leggero e fresco. Strano, perché ieri al calar del sole la mia mente era in tempesta, frastornata da dubbi e insicurezza. Tu, come ti senti?” “Come te, amico. Bene come mai prima; e come te meravigliato della mia condizione.” Ci preparammo alla ricerca con scrupolo: un barattolo di legno, grande come due teste d’uomo, a chiusura ermetica, fu messo a tracolla dal mio compagno; io, invece, presi acqua e una grossa scheggia di ossidiana, affilata tanto da tagliare un capello, e la infilai in un solco scavato in un bastone di legno, poi con della resina la fissai e la legai nella parte più bassa con un pezzo di liana. Ci dirigemmo verso la direzione opposta a quella del nostro arrivo, fino a che un enorme tronco cavo, di non so quale specie d’albero, ci sbarrò la strada. Il ragno era lì dentro, così ci aveva detto Alme. Ci sentì e lo vedemmo uscire enorme, di un verde luminoso, numerosi occhi sulla sua fronte ci guardarono tranquilli. Era diverso da come ce lo aspettavamo: aveva qualcosa di umano, le zampe lunghe e nodose finivano con protuberanze simili a mani, e nell’insieme sembrava quasi bello. Ci osservò, senza fuggire, anzi si avvicinò a noi con calma e quando fu a un passo dai nostri corpi dipinse sul suo volto un’espressione compiaciuta. “Ecco i miei figli, ecco i miei agnellini, finalmente siete arrivati. Vi mangerò più tardi, succhierò le vostre anime terrorizzate dopo avervi fatto vedere la fine dei vostri fratellini rapiti dai giacigli delle vostre capanne dalla mia adorata serva. Che occhi fieri avete! Certamente uno spirito deciso e coraggioso abita in voi. E’ lui che vi ha spinto fin qui? E’ lui che vi ha consigliato? Cattivo consiglio! Siete adirati con me? Perché?” disse con voce serena e armoniosamente calda. Batù si sedette di fronte a lui, senza paura, senza traccia di rancore, e invitò anche me a farlo. Eravamo entrambi seduti ora, con Alme dentro i nostri cuori. Non che Alme come un angelo ci avesse seguito, ma egli ci aveva trasmesso con le parole e con il suo aspetto un’unica volontà, un unico modo di percepire: sentivamo le nostre menti senza bisogno di parole. Comunicavamo senza linguaggio: per quanto impossibile lo facevamo. Era come se cavalcassimo un’unica onda sul fiume, come se insieme precipitassimo giù per le grandi cascate, come se fossimo svaniti in un unico soffio di vento. Gli dicemmo, senza pronunciare parola, di stare zitto, di prepararsi a morire senza morire; sarebbe venuto con noi, comunque! Perché ora noi non avevamo più i cuori legati dai suoi fili di seta. Il grande ragno indietreggiò, poi tentò di scappare. Lo presi per una zampa; all’inizio si divincolò tentando la fuga, ma Batù veloce lo mise nel barattolo di legno. Scendendo verso il villaggio ci fermammo al posto dove avevamo lasciato Alme: non c’era nessuno, niente sembrava ricordarlo, solo silenzio e pace. Al villaggio trovammo tutto come era quella notte, prima che lei scendesse a portarci via il futuro: gli uomini che parlavano vicino al recinto dei cavalli, le donne al centro della piazza conversavano intorno al fuoco, i bimbi dormivano al riparo dal mondo della foresta nei loro lettini di paglia dentro le capanne. E nel barattolo di legno grande come due teste d’uomo il ragno non c’era.

Da Venerio
Aurelio Visconti
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