I “forestieri” che mi hanno insegnato a mangiare cose nostre!

Uno ghiotto come me, che ha cominciato quando portava ancora i pantaloncini corti a chiedere alla mamma e alla nonna certi piatti, dovrebbe aver imparato alla perfezione come si preparano e si gustano le nostre ricette più tipiche.

Se si aggiunge anche il fatto che ho cominciato io stesso in gioventù a nazzicare e intramestare (traduzione dal maremmano = provare a cucinare in maniera confusionaria)  in cucina, si potrebbe pensare che la preparazione in questo campo dovrebbe risultare rifinita.

Ho avuto una mamma di origine contadina, una nonna di estrazione signorile, un babbo ghiotto, curioso e sanguigno, che praticava cucina alla domenica e per le feste ricordate. Ho frequentato più o meno furtivamente la cucina delle grandi fattorie, dove alla bontà delle fattoresse si univa la disponibilità di materie prime di alta qualità.

Insomma, chi mi poteva insegnare di più sui nostri piatti più comuni e da me amatissimi? Due “stranieri”! Sissignori, due non maremmani. Per la precisione due bresciani (non chiedetemi di spiegare ad un maremmano DOC che Brescia è in Italia, lo so, ma non è Maremma.) e un parigino! Incredibile? No, è la pura verità!

 

I bresciani e la Bruschetta (per i non maremmani la Fettunta)

unnamed-1Certo il posto ideale per farla e gustarla resta il frantoio. Specie quelli di una volta con le due enormi ruote di pietra che schiacciano incessantemente le olive e contribuiscono a saturare l’ambiente dell’inconfondibile e inebriante profumo di frantoio, appunto.

Questo è il primo importantissimo ingrediente di una bruschetta al top, ma certamente non è possibile averlo né a casa nostra, né al ristorante. In casa si può intanto farla SOLO nel periodo di raccolta delle olive, cioè con l’olio nuovo.

Poi viene la qualità del pane, sciapo ovviamente, e la sua  tostatura. Nel frantoio si abbrustoliva mezza fetta di pane sulla brace, sempre disponibile da qualche parte, si dava la canonica sdrusciatina (strofinata) con l’aglio in camicia, e poi la fetta veniva inzuppata velocemente in un grande recipiente con l’olio appena franto. E così la fetta ancora caldissima arrivava alla bocca, preannunciata da un incredibile profumo dell’olio nativo per essere addentata e degustata con voluttà e piacere.

Ma per un prodotto tutto sommato semplice e povero ci sono invece diversi e svariati aspetti da rispettare per ottenere il miglior risultato, quello che cerchiamo noi, per l’appunto. In casa ovviamente tutto risulta più difficile da fare rispetto alla bruschetta nel frantoio, ma non sempre.

I forestieri”

I miei amici Enrico Curatolo e sua moglie Valeria Cittadini, provenienti dal lago d’Iseo si trasferirono  a Poggio Oliveto, un piccolo Borgo sulla strada che porta a Roccastrada, una trentina di anni fa. Trovarono nei locali della fattoria acquistata un piccolo frantoio con le macine a pietra. Guarda un po’ il destino! Valeria si era già occupata di olio di oliva frequentando corsi come degustatrice con tale successo che divenne poi Capo Panel sia nella Camera di Commercio per l’assegnazione dell’I.G.P. all’extravergine di oliva, sia come Capo Panel per la redazione della Guida all’Olio Extravergine d’Italia edita da Slowfood.

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Enrico Curatolo

Enrico, una specie di Leonardo da Vinci dei nostri giorni, aveva navigato con successo in alcune innovazioni e invenzioni, anche brevettate, in diversi campi. In particolare nell’uso della vetroresina fin dal 1959, nella progettazione e realizzazione di nuove imbarcazioni per la pesca. Era anche bravissimo nella realizzazione di vetrate liberty al piombo. Quindi non poté fare a meno di divenire pure un frantoiano super tanto che dimostrò, prove alla mano, che se correttamente utilizzato, un frantoio vecchio stile riesce a produrre olio di qualità con caratteristiche superiori a molti dei moderni frantoi. A prezzo però di produzioni di piccole entità e di costi ben più alti.

Divenuti amici abbiamo liberato le nostre pretese culinarie, gomito a gomito, in cucina: io con ricette maremmane, lui con ricette del bresciano e del lago d’Iseo.

Avevano a casa loro una bella cucina stile antico, con un enorme focarile dove ciocchi di legna producevano calore, luce, profumi e…braci.

 

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La Bruschetta (alias Fettunta) perfetta

Quella volta c’era l’olio nuovo e una bella brace nel focarile. Enrico prese un panone da lievitazione naturale, ne tagliò due fette alte un paio di centimetri e le mise sulla griglia posta sulla brace viva. Attese lì davanti la tostatura, prima girando le fette, poi velocemente togliendole, dette la canonica  veloce sdrusciatina di aglio. C’era in tavola un piatto fondo colmo di olio nuovo dove ognuno poteva immergere la propria fetta. Chi voleva poteva mettere un po’ di sale e poi velocemente mangiare. Il pane era ancora caldo, ben tostato con un marrone che non presenta affatto bruciature nere. La tostatura aveva preso solo qualche un mezzo centimetro per parte, mentre il cuore della fetta era sempre morbido e caldissimo. Tutto questo fece si che mordendo si avesse una sensazione di morbida croccantezza. Il calore esaltava profumo e sapore dell’olio, insomma  una bruschetta da sballo.

E io continuo a meravigliarmi per il fatto che uno del lago d’Iseo riesca fare una bruschetta con l’olio PRATICAMENTE  PERFETTA, e ripenso con rabbia a quelle misere fettine di pane secco e freddo appena unte con un po’ d’olio, servite nei ristoranti e senza vergogna proposte con il nome di bruschetta!

La prossima volta vi parlerò del parigino e dell’uovo.

Da Venerio
Aurelio Visconti
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