Scrivere di lavoro, scrivere per lavoro: la trama sottile della vita attraverso la lente della scrittura

92444556Ciclicamente si ritorna a parlare di lavoro, scandagliando l’argomento sotto tutti i punti di vista, e non risulterà poi così difficile da concepire che il punto della situazione possa essere fatto con maggiore probabilità in momenti come l’inizio di un nuovo anno: ciascuno investe sul periodo a venire un variopinto nodo di aspettative, di desideri, di speranze.

L’argomento è delicato, addirittura critico. Tra chi fatica per mantenere il proprio posto, chi studia senza sapere quale sarà il suo, chi è costretto a cambiare e reinventarsi per rimanere a galla, c’è da alimentare interi squadroni di disillusi, gli stessi che plasmano il linguaggio con le armi del cinismo e dell’autoironia trasformando la problematica in una inesauribile epopea contemporanea, quella dell’individuo che tenta di realizzarsi, e/o di sopravvivere.

Lo scontento e la frustrazione sono facili sia all’estremizzazione che alla diffusione a macchia d’olio, soprattutto grazie alla realtà virtuale dei social, che però è meno virtuale di quanto si creda. Autentiche forme di micronarrazione e sporadici lampi di genialità illuminano anche questo enorme sostrato esperienziale online, facendosi interpreti dei tempi che stiamo attraversando.

Parlando di tempi – mala tempora, commenterà più di uno – è significativo che due libri molto diversi tra loro per intenti, stile narrativo e tematiche, riflettano ciascuno a suo modo proprio la problematica del lavoro, proiettandola letterariamente in quel che può essere il vissuto personale di un unico individuo, oppure al contrario nell’immaginario collettivo dei lettori, in questo caso attraverso il ricorso all’astrazione, a personaggi che si fanno metafora delle contraddizioni e delle inquietudini dei nostri giorni.

I due libri in questione sono Works di Vitaliano Trevisan (Einaudi, 2016) e Matteo ha perso il lavoro di Gonçalo Tavares (Nottetempo, 2016). il primo è un imponente memoire che ripercorre la mirabolante carriera lavorativa dell’autore dagli anni Settanta fino agli anni Zero, il secondo è una raccolta di racconti concatenati e assai meno slegati di quanto potremmo aspettarci da una raccolta di racconti: Tavares infatti compone un puzzle di 25 storie delle quali ognuna prende l’avvio dalla precedente, secondo un singolare gioco di rispondenze tra personaggi che sembrano passarsi il testimone della narrazione come in una surreale staffetta.

Mentre Trevisan affabula il lettore sciorinandogli davanti l’incredibile accumulo dei propri pensieri, delle proprie esperienze di vita, degli incontri e dei lavori intrapresi, seguiti, lasciati, cercati e ottenuti, Tavares quello stesso lettore lo spiazza, lo traumatizza, ponendolo di fronte non a una voce elegantemente loquace che funga da filtro, ma a piccole schegge acuminate di realtà che si descrivono quasi da sole, senza lasciare il tempo di stabilire dove finisca il mondo conosciuto e dove cominci invece quello inquietante del parodico, dell’inspiegabile, dell’onirico.

Naturalmente c’è da fare una premessa: e cioè che il libro di Tavares è molto lontano negli intenti da una disamina del mondo del lavoro, e che anzi il Matteo del titolo, disoccupato, potrebbe risultare addiruttura fuorviante, in quanto non è che uno degli emblematici personaggi che compongono questa storia. È vero. Matteo ha perso il lavoro vuole essere innanzi tutto una meditazione sull’imperfezione, sulla difficoltà di conciliare il trascorrere della vita con il meccanismo dell’esitazione. I frammenti di esistenze proposti non sono di immediata comprensione, proprio a causa dell’elevata concentrazione di elementi appartenenti al mondo dell’ossessione, della stranezza, del grottesco, tanto da rendere quasi indispensabile la lettura della postfazione dell’autore, ove Tavares offre a fine corsa una serie di chiavi di lettura enigmatiche ma estremamente illuminanti.

Al contrario di Works, dicevamo, non è un libro “sul lavoro”. Ma il motivo della scelta di questi due libri all’interno di questo discorso non può essere separato dall’importanza delle due copertine: una lamiera imbullonata su cui si staglia la scritta rossa “works” per il libro di Einaudi e un mosaico di volti di uomini e donne incorniciati di rosso per il libro di Nottetempo.

Antitetiche, di alto impatto, evocative di una questione che preme e stringe le più diverse categorie di persone, a comporre una sorta di dialogo: Matteo ha perso il lavoro, a cui risponde la frase contraria e un po’ provocatoria di Trevisan: «Perché trovo sempre un lavoro?, mi dicevo, Perché non mi lasciano andare alla deriva in pace?».

Da Venerio
Aurelio Visconti
piccolo hotel aurora
ARS fotografia
Banca Tema