Alcuni importanti simboli in una tela seicentesca

santantonio da padova e il bambino

In una parete della piccola Chiesa del SS. Crocifisso, sconsacrata, ora pinacoteca, di Roccalbegna (Grosseto), è collocata, insieme a tante altre, una tela nella quale sono rappresentati Sant’Antonio da Padova il Bambino Gesù, e un Angelo, un’opera ad olio che misura cm 119×85, dipinta da Francesco Nasini come dalle lettere della sigla “F.N.P.” scritta sulla clessidra vicina al teschio nel registro inferiore del dipinto.

Antonio da Padova, al secolo Fernando Martins de Bulhões, noto come Antonio da Lisbona (Lisbona, Portogallo, 1195 – Padova, 1231), frate francescano e santo cristiano, grande predicatore, fu proclamato santo da Papa Gregorio IX nel 1232, appena un anno dopo la sua morte.

A sinistra vi è la figura del Santo di Padova in posizione eretta raffigurata con un taglio a “piano americano” e braccia incrociate sul petto in segno di devozione. Indossa il saio dell’ordine, caratterizzato da ampie maniche che, con la “mantellina” della parte alta del saio creano un gradevole gioco di pieghe; ha capelli scuri folti ed è sbarbato.

Davanti a lui, in piedi sopra un grande libro, è posto il Bambino, seminudo vestito soltanto di un pezzo di stoffa intorno al corpicino, che crea un particolare movimento partendo dalla fine tracolla che dalla spalla sinistra si svolge verso la parte posteriore della figura stessa. Ha i capelli riccioluti e regge, con la mano sinistra, il globo sormontato da una piccola croce che ce lo fa riconoscere come “Salvator Mundi” e, con la destra, nell’atto di benedire.

Dietro, al limite del margine destro della tela, è rappresentato un Angelo la cui figura è parzialmente nascosta dal Bambino, dal libro e dal piano del supporto sul quale questi poggiano, che regge fra le dita della mano destra un cuore, uno degli attributi di Antonio da Padova. Questo elemento ricorda un evento della vita del Santo; Il Ritrovamento del cuore dell’avaro. Si dice che, predicando alle esequie di un avaro citò il Vangelo di Luca (12, 34), “Ubi est thesaurus tuus, ibi est cor tuum erit” (dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore). All’apertura dello scrigno dell’avaro, alla presenza di Antonio, lo scrigno conteneva il cuore dell’uomo. Gli altri elementi di riconoscimento del personaggio, oltre al Libro che indica il Santo come teologo e al Cuore, sono: il Giglio bianco, simbolo di purezza e di castità, il Teschio e la Clessidra.

Il Teschio, dal Medioevo è simbolo di morte. È l’oggetto della meditazione sul concetto di vita e di morte e, con lo stesso significato, è raffigurato anche in alcune opere sul tema della natura morta. Figura ai piedi della croce sul Calvario perché la tradizione lo indica come il luogo dove fu sepolto Adamo; è anche attributo di santi ed eremiti tra i quali Francesco d’Assisi, Girolamo, Maria Maddalena ed altri. La Clessidra qui è simbolo del Tempo e attributo della Morte ma in altri temi, profani, anche della Vanitas.

Sant’Antonio e il Bambino è il soggetto iconografico ricorrente, una interpretazione nella pittura che si riferisce all’episodio di una delle visioni del Santo che ebbe, in particolare, della Madonna col Bambino all’interno della sua cella. In questo caso il Figlio della Vergine può essere rappresentato in braccio alla Madre, solo, come in quest’opera o in braccio al Santo come suo attributo che lo identifica. Il tema è molto usato nel periodo della Controriforma.

Nel registro superiore del quadro emergono in minima parte, realizzati sommariamente, dallo sfondo scuro, alcuni Cherubini?

Le forme si presentano particolarmente tornite rispetto al modo corrente di dipingere di Francesco il cui segno di contorno deciso ne ha caratterizzato il disegno; sono meno spigolose, composte, e i piani che le costituiscono si svolgono in maniera continua senza interruzioni che avrebbero senz’altro compromesso il senso di serenità che la composizione emana. Inoltre, le vaste zone d’ombra create dalla luce che illumina con forza i corpi ci rimanda alla bottega di Rutilio Manetti (Siena, 1571 – ivi, 1639) con cui il Nasini padre aveva avuto significativi contatti:

La sua nascita infatti, ormai fissata al 1611 – ad appena due anni di distanza da quella di Domenico (Siena, 1609 – ivi, 1663) e di poco precedente quella di Bernardino Mei (Siena, 1612 – Roma, 1676), può far supporre un apprendistato senese vicino alla bottega dell’ultimo Rutilio, nella quale lavorarono sia Domenico che il Mei […]. La tela non è purtroppo datata, ma la delicata e pastosa stesura pittorica che appare un poco lontana dai più violenti contrasti chiaroscurali di opere come la Santa Caterina da Siena presenta alla Madonna Sant’Antonio da Padova col Bambino della Collegiata di Sinalunga, databile tra il 1649 e il 1650 (L. Martini, in Arte e storia della Collegiata di Sinalunga, Chiusi 1993, p. 42) ci fa propendere per una esecuzione posteriore entro la metà del quinto decennio del Seicento. (Anna Maria Emanuele, Francesco Nasini, Nasini Pingebant, Itinerari pittorici sul Monte Amiata, scheda n. 28, Comunità Montana Amiata Area Grossetana – Regione Toscana – Provincia di Grosseto, Arcidosso 1999).

La tela si trova in uno stato di conservazione che possiamo definire, decisamente, buono.

Giombattista Corallo

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